Le lacrime ipocrite dei "padroni" sulle macerie del Paese

Pubblicato il da ilfogliorossodivicenza-nordest

-borsa_Image.jpgIl Sole 24 Ore rompe oggi un clichè consolidato, si scrolla di dosso la compassata distanza dal Palazzo che ne ha sempre caratterizzato la cifra giornalistica, e con un inedito titolone a due colori (“Basta giochi”) passa all’attacco della “Casta”. Lo fa con un fondo del suo direttore, Roberto Napoletano, che dopo avere snocciolato i numeri che documentano le condizioni comatose dell’economia e dell’apparato industriale italiano, chiede che la politica esca dallo stato di catatonica irresponsabilità che la vede incapace – mentre la nave affonda – di dare un governo al paese e di sottrarsi al mantra europeo che recita, stupidamente, “austerità, austerità, austerità”. Una linea suicida – insiste Napoletano – che “fa il male di tutti e va combattuta uscendo dal piccolo cabotaggio delle politiche nazionali e dei loro interessi (più o meno forti), a partire da quello tedesco”.
Giuste, ma drammaticamente tardive, considerazioni, verrebbe da commentare. Peccato che sino a ieri Mario Monti sia stato acclamato – proprio da Confindustria – come il salvatore della patria. Lui e le sue politiche, rigorosamente incardinate nel dogma liberista del pareggio di bilancio e del più rigido contenimento del debito, divenuto poi, con il fiscal compact, una vera e propria istigazione alla recessione. Ma di questo, finché l’acqua non è salita alla gola, nessuno ama ricordarsi. Come nessuno – men che meno i padroni – parla più della crociata contro il lavoro e contro il welfare a cui il governo “tecnico” ha dedicato, per nome e per conto di lor signori, gran parte dei propri appassionati sforzi, rispondendo al riflesso condizionato del capitale che rincorre, per intrinseca coazione, l’obiettivo di risolvere le proprie contraddizioni comprimendo salari e diritti.
Per un anno intero questo è stato il solo filo conduttore del governo italiano, mentre la politica industriale latitava, la disoccupazione cresceva di mese in mese, la deflazione salariale abbatteva la capacità di spesa delle famiglie e il crollo della domanda interna rimbalzava sulla produzione industriale e poi, di nuovo, sull’occupazione.
I tagli lineari alla spesa pubblica, frutto di una perversa, acefala contabilità da ragionieri, dimostrava, nel frattempo, la madornale inadeguatezza di un personale del tutto sprovvisto della più elementare nozione di come la politica possa stimolare, indirizzare, governare, piegare se necessario, lo sviluppo verso finalità sociali e di interesse nazionale, affrancandosi dai dogmi di scuola monetarista.
Ma Monti non era lì per questo. Il lavoro da fare – con l’avallo autolesionistico del Pd – era di altro genere. Che i risultati non potessero essere diversi da questi era dunque del tutto prevedibile. Ma durante tutto il 2012, in perfetta continuità con le apprezzate politiche berlusconiane, la nostra borghesia industriale ha incassato tutto ciò che poteva farle comodo: distruzione delle pensioni di anzianità, innalzamento dell’età pensionabile, soppressione dell’articolo 18 e del contratto nazionale di lavoro, blocco della contrattazione collettiva, messa al bando del sindacalismo resistente; e poi, ancora, indebolimento del sistema di protezione sociale, tagli alla sanità, all’istruzione, alla ricerca, all’assistenza delle fasce più deboli della popolazione.
Quello che le classi dominanti non avevano previsto è che un simile salasso – unito alla piovra speculativa che la strategia finanziaria della trojka alimenta – avrebbe finito per devastare le basi strutturali di un modello di sviluppo capitalistico come il nostro, già pesantemente zavorrato da storiche arretratezze.
Accade così che gli stessi obiettivi proclamati dal governo Monti siano naufragati nelle nebbie di una generale depressione: il rapporto debito/pil corre verso il 140%, il pil in ulteriore secca caduta (-1,4% anche quest’anno), la disoccupazione – quella esplicita e quella mascherata da mezzo milione di cassaintegrati “a zero ore” in predicato di licenziamento e da un esercito di “paria” della precarietà – supera i 5 milioni di unità; mentre le imprese, industriali e commerciali, chiudono a grappoli, ammazzate dal credit crunch e dall’insolvenza delle pubbliche amministrazioni a loro volta strette nei vincoli del Patto di Maastricht.
Di queste politiche, signori, siete i primi responsabili. Le avete volute, anzi, pretese con proterva determinazione.
Se una rivoluzione dovesse rovesciare l’ordine (si fa per dire) costituito, voi, classi dominanti, il vostro personale politico, i vostri manager, pubblici e privati, i vostri indecenti cortigiani, dovreste essere processati e condannati per crimini contro il paese che avete spolpato fino all’osso.

 

Dino Greco  da www.liberazione.it

 

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post