LA “COLOMBINA” SERVE, tratto da Irene Rui, "Donne: serve, regine ed operaie", VampaEdizioni, Vicenza
“Mi paghi, padrone, perché non rimango, io ho lavorato per lei con fatica; non credo che nel pagarmi m’inganni ma io non ritorno neppure per un giorno, nel momento in cui pensavo di poter essere allegra quando penso alla sua casa divento triste…
Se riferisco le cose di casa sua mi diranno che faccio scandali; quando fa i patti lei promette tante cose e poi al contratto se ne nega; si renda conto, padrone, che non va bene che mi tolga qualcosa per il fatto che sono povera…
Se non ricevo la paga anticipata non mi conviene il lavoro e le faccio sapere una cosa, che chi lavora vuol essere paga? E’ vero che può trovare un’oltre serva, ma una come me non la trova un’altra volta…”1
Lavoro domestico di campagna o di città, lavoro casalingo: massaia stipendiata, in comodato o gratuita, ma serva. Serva di ieri, badante, colf, governante e donna di servizio nel Duemila. Un lavoro che muta negli anni, ma non cambia.2
L’attività domestica fu per lungo tempo una prerogativa di “arlecchino” e solo nel corso dell’Ottocento, diventò peculiarità delle tante “colombine”. Passaggio che fu possibile solo grazie al venire meno di quella qualifica professionale che l’aveva caratterizzato il lavoro di servizio, all’intensificarsi delle richieste di servizi alla persona piuttosto che di governo della casa e dal prospettarsi per l’uomo, di nuove opportunità lavorative e più remunerative. Verso la fine dell’Ottocento, si ebbe, infatti, malgrado la crescente domanda di impiego da parte della nascente borghesia commerciale ed imprenditoriale cittadina, una flessione della curva d’offerta di disponibilità ad atti servili del genere maschile. La domanda fu quindi assorbita dalle numerose donne che presero il via all’emigrazione per svolgere il servizio domestico presso le case borghesi. La pressione demografica nelle campagne e alla crisi agricola, che comportarono l’espulsione dal mercato della manodopera femminile, resero possibile un aumento dell’offerta di braccia femminili per il mercato del servizio domestico.
La mia serva ci serve
“Donna: femmina adulta della specie umana, in genere contrapposta all’uomo, buona massaia, tutta per la famiglia… domestica, collaboratrice famigliare”3
Il fatto che nella lingua italiana donna, significhi tanto persona di sesso femminile quanto serva, ci dice tutto; soprattutto sull’uso del termine nell’ambito del “sentito comune popolare”: Mario ora “l’a n’a femèna”,4 può significare che egli ha trovato una compagna, una fidanzata, come che ha assunto una domestica, la femèna.
Le domestiche fino alla prima metà del Novecento, in quanto serve e donne, erano doppiamente escluse dal godimento dei diritti politici e civili. La storia ci insegna infatti che se nell’Ottocento, l’uomo per sfuggire dall’esclusione sociale poteva cambiare mestiere, la donna dovette attendere fino alla metà del Novecento, per poter godere di questo privilegio.5
Settori influenti della società italiana pensano ancora che l’aspirazione femminile sia rappresentata dall’ambito domestico e dalle attività di riproduzione e che il cosiddetto il lavoro extra-domestico sia priorità maschile. Si consideri che la stessa società, pensa anche che il lavoro domestico non sia una occupazione a tutti gli effetti in quanto non remunerata, tant’è risaputo che le “casalinghe d’oro”,6hanno lanciato la proposta che il lavoro domestico svolto dalle donne per la propria famiglia sia remunerato.7Un’ampia fetta della società italiana - non solo maschile – pur non togliendo alla donna, la facoltà o la possibilità di avere un lavoro diverso da quello casalingo, le impone un ruolo al servizio della famiglia, tanto da farlo risultare una sua dote naturale: come se la donna si realizzasse all’interno delle mura domestiche e con l’atto materno, ed il lavoro esterno fosse un capriccio, un passatempo.
Si ha quindi da un lato una deprezzamento dei lavori extradomestici delle donne rispetto alle attività domestiche considerate più importanti e dall’altro una svalutazione della professione casalinga, considerata come un non “vero lavoro”.8Pulire le feci di un bambino, rammendare le calze o le vesti, pulire e cuocere il cibo, risciacquare e insaponare i panni sporchi, stirare e tutte le altre incombenze domestiche, sono considerati dai soliti noti, dei meri passatempi senza significato, in quanto non stipendiati. Tutto ciò che non produce denaro è un non lavoro: svolgere l’attività di casalinga non è una vera occupazione. Eppure non è semplice governare una casa, e più questa è ampia, abbia un giardino ed un orto, più è difficoltoso. Dalla massaia che ha a disposizione l’intera giornata per tali “passatempi”, si pretende l’efficienza: la casa deve brillare ed essere ordinata, il bucato perfetto ed inamidato, i figli perfetti: la bravura delle donne la si misura dalle cosiddette “doti naturali”. N’a femèna che l’a ‘e sempre ‘a casa la deve saver tener ben la casa se nò no l’a e bona ‘a nient.9
Le serve lavorano come automi, svolgono i loro compiti con le stesse gestualità ogni giorno, nello stesso ordine. Fanno la sfoglia e il pane di prima mattina. Rassettano la casa partendo dal soggiorno terminando con la zona notte, i bagni per ultimi. Iniziano con il sollevare le sedie, spazzano e lavano il pavimento, spolverano la mobilia e l’oggettistica, rifanno i letti. Quest’operazione è svolta quotidianamente e richiede maestria in quanto devono stendere le lenzuola con grazia e precisione, avendo cura di mettere le coperte o i piumoni sopra le lenzuola, per ricoprire il tutto con un copriletto, rovesciando la falda prima di anteporre i cuscini che poi solevano e stendono sopra con precisione geometrica secondo un determinato ordine.10 Il letto non deve avere grinze e le lenzuola, le coperte, il copriletto devono essere perfettamente ed armoniosamente allineate. Inoltre le colombine lavano i pani a mano o in lavatrice, sanno scegliere – o almeno dovrebbero saper selezionare - la biancheria.,11 La regina della casa, deve conoscere come dividere, smacchiare, a quale temperature si lava un panno, quale va pulito con la macchina e quale a mano, come va stirato e confezionato. Una volta svolti i lavori domestici della mattinata, scapata in un soffio, la colombina, entra nel regno della cucina e da domestica si trasforma in cuoca.
La casalinga deve aver cognizione sulla cottura delle pietanze, su come fare la pasta, i dolci ed il pane, sugli ingredienti indispensabili per saporire e per preparare un gustoso pranzetto; come servirlo e come preparare la tavola.
E se ha figli? Eccola balia, bambinaia ed insegnante.
Queste serve sanno con maestria pulire, cucinare, cucire e fare la maglia; sono capaci di filare e di tessere, di ricamare e fare i merletti, di governare la casa e far di conto. Sono capaci di organizzare la vita famigliare con poche risorse economiche, adoperandosi a far quadrare il bilancio e non facendo mancare nulla ai propri cari e loro sono le ultima. In cambio di tutto questo lavorare cosa le viene? Un tetto sopra la testa, dei figli, il vitto e gli indumenti.
La casalinga è vittima del tempo. Ogni mestiere ha il suo ordine di successione e i suoi tempi: non si può cambiare i pannolini al neonato se questo non ci ha prima defecato; non si può smacchiare un vestito se questo non è stato macchiato, non si può allattare un bambino, se questa non ha finito il suo ciclo digestivo. La massaia si barcamena quindi, su due tempi: quello preindustriale, natural-sociale, e quello agroindustriale. La casalinga deve saper coordinare i tempi domestici e quelli sociali: dalla buona organizzazione del lavoro giornaliero né dipende la sua riuscita.
Non può ammalarsi la regina della casa, deve essere sempre efficiente e soprattutto deve sapere stare a suo posto.
Colombina serva dei due padroni
Serva del marito, della famiglia e dei nuovi padroni.
Le cosiddette “doti naturali” perché non metterle a profitto? Ed ecco che la donna, la fanciulla con i suoi pochi stracci parte e va a servizio in città. Serve, badanti e a volte balie. A fine Ottocento questa era la sorte di numerose donne che presero la via dell’emigrazione per svolgere il servizio di domestica in città, presso famiglie benestanti della borghesia commerciale o semplicemente della piccola borghesia. Una borghesia che ha sempre considerato denigrante per le sue donne l’occuparsi direttamente, delle faccende domestiche e addirittura fino alla prima metà del Novecento considerava lesivo per l’immagine l’allattamento dei propri pargoli.12Le donne borghesi si dovevano occupare come mogli, di pubbliche relazioni famigliari, ma solo figuratamente erano madri e donne di casa. Erano quindi prese a servizio contadine analfabete, fanciulle di campagna o campagnole della periferia cittadina, cameriere, governanti ed istitutrici qualificate.
Alle serve era fornito vitto ed alloggio, l’abbigliamento minimo decente quanto bastasse dar non far sfigurare la famiglia datrice e uno stipendio che, variava dalle trenta alle centoventi lire al mese all’inizio del Novecento.13Lo stipendio era flessibile e fluttuante in base che a svolgere il lavoro fossero fanciulle o donne, e dal tipo di prestazione fornita.14C’era una distinzione non solo come paga, tra serve e serve. La fanciulla povera e di campagna andava a fare la domestica, mentre quella povera e di città avrebbe assunto il ruolo della governante. La distinzione tra domestica o serva e governante, la si trovava anche nel vocabolario sociale. La governante era colei che era qualificata e proveniva dalla città, la domestica o serva quella di campagna o la popolana ignorante dei sobborghi cittadini.
Gli alloggi di sovente erano miseri, spesso nel sottotetto, talvolta non arieggiati, con un letto ed un tavolino.
Le condizioni di lavoro consistevano in giornate lavorative senza limiti con incombenze di ogni genere, ricambiati con salari minimi e la concessione di alcune ore di riposo ogni quindici giorni. In queste famiglie era in uso di servirsi di un’unica domestica che oltre a far da mangiare, doveva pulire, lavare, cucire, trasportare acqua e carbone per il riscaldamento, accudire i bambini e gli ammalati, accompagnare i figli dei padroni, a scuola o nei parchi. La serva era quindi: cuoca, bambinaia, infermiera, cameriera, facchina, sguattera ed altro, ma era la meno pagata. Più di 15 ore al giorno senza pausa, se non le poche ore della notte e per trenta lire al mese.
Il lavoro della serva, della bambinaia e dell’istitutrice era considerato dalla società - non solo clerico-borghese - un ruolo naturale per la donna plebea: infondo non lo faceva anche a casa sua?15
Le giovani fanciulle entravano a servizio anche prima dei tredici anni, appena finivano la scuola d’obbligo - attorno ai dieci anni - le famiglie povere mandavano le ragazze a fare le bambinaie. Di fatto queste bambine erano occupate anche in faccende domestiche che comportavano fatiche non lievi per le fanciulle, quali il trasporto d’ingenti pesi sulla testa o nelle spalle, per la provvista dell’acqua, della legna ed il bucato.
“Ogni giorno dovevo andare a lavare nella botte del mulino dei panni che poi stendevo nel cortile accanto alla scuola… In quel cortile c’era il pozzo, l’acqua per l’uso familiare, bisognava tirarla su con un secchio appeso ad una lunga catena, poi si dovevano portare i secchi pieni su, in cima alle scale. Due dei quattro figli andavano in una scuola lontana un paio di chilometri dal paese ed io dovevo accompagnarli e andarli a prendere. Poi facevo le pulizie, i letti e tutto il resto… Quel rivolgermi la parola solo quando mi dovevano comandare, non era un sistema per il mio carattere e mangiare da sola su un tavolino nell’angolo della cucina mi faceva sentire esclusa.”16
Il censimento del 1881, rivelò che 400.948 donne erano impiegate nei servizi domestici privati e che 52.087 in quelli pubblici. Sempre secondo tale censimento, la domanda di personale domestico superava l’offerta, in particolare modo per il personale meno qualificato e che la piccola-media borghesia ne faceva ben conto.17Erano preferite ragazzine, fanciulle nubili o vedove. Queste erano le condizioni obbligate, per andare a servizio.
L’attività di servizio forniva una particolare garanzia di sostegno economico alla famiglia della fanciulla e alla ragazza. Le famiglie datrici dovevano garantire oltre lo stipendio, la protezione dell’onore sessuale delle ragazze, messo in pericolo non tanto dalle passeggiate esterne con i figli dei padroni, ma all’interno della stessa famiglia; dove i bravi padri e mariti tentavano e talvolta con successo, di violentare o circuire le povere fanciulle. I maschi di casa consideravano anche questo un servizio da fornire e facevano spesso le loro esperienze sessuali - non solo le prime - con le serve che a causa della loro inesperienza e della loro giovane età si trovavano in balia di questi uomini. Uomini che non correvano particolari rischi, poiché lo stupro di una serva era un reato lieve e non punito severamente.
“Margherita fammi un po’ di posto, non ti farò nulla, ti accarezzerò solo”18
“Margherita, come sei cambiata da quando ti vidi quella sera, la prima volta. Sei bellissima, sei irresistibile, dimmi quanti ti ronzano intorno.”19
“Ad un certo punto sentii aprire la porta. Mi alzai e stavo per uscire, quando vidi il marito, mi spinse di nuovo in camera e chiuse la porta a chiave. Vai sul letto mi disse. Io non parlai e non andai sul letto. Notavo che lui si stava spogliando e mi misi a piangere. Lui mi venne vicino, mi accarezzava e intanto diceva di che cosa hai paura, non ti farò niente. A quelle parole il mio pianto aumentò… Lui si arrabbiò… aprì la porta e disse: vai via, stupida che non sei altro.”20
Le serve che restavano incinte dal padrone erano immediatamente licenziate, come se fosse un loro peccato grave aver subito o acetato la violenza, e difficilmente trovano un altro posto, molte volte queste poverette si trovano a seguire la via della prostituzione. Un concetto molto in voga in una certa borghesia, era lo stereotipo che la servitù femminile, fosse prostituta o madre illegittima.21
Il sistema di controllo e vigilanza delle serve, operava sia nel reclutamento tramite le parrocchie, i parenti e i compaesani che si facevano garanti delle stesse verso i padroni, sia nel servizio dove si esigeva un certa prestazione. Si prodigavano al collocamento, conventi ed istituti religiosi, agenzie private di reclutamento - organismi spiccioli tramite conoscenze e qualche volta per mezzo di inserzioni -. La maggiore attività in questo campo fu svolta dalle istituzioni religiose che avevano aperto agenzie nelle principali città italiane - asili per giovani disoccupate - e mettevano a disposizione reclutatrici o reclutatori, nelle stazioni delle principali città per ricevere ed indirizzare le donne verso gli uffici di reclutamento stessi. Di fronte all’attività di questi uffici legalizzati, vi si trovano una fitta rete di agenzie private che speculavano sulle esigenze della domanda e dell’offerta. Cerano poi gli intermediari del paese che avevano agganci in città, conoscenze spicciole quali cameriere, portinai o bottegai che erano adotti delle famiglie in cui necessitava il personale di servizio. Tutti questi intermediari in cambio delle loro prestazioni richiedevano una percentuale sia alle famiglie, sia alle ragazze.
“Il giorno della Befana,22andai a casa di Agata a vedere se c’erano novità… Lei mi disse… sono d’accordo con la Spinalba che domani sera ti verrà a prendere e ti accompagnerà in Via Solferino, dove ti ha trovato una famiglia, che ha bisogno di una giovane ragazza come te.”23
“Signora Iole, come d’accordo, le ho portato Margherita. Le assicuro che è una ragazza affidabile, ma le dovrà insegnare a fare tutto perché è abituata a lavorare in campagna e non in città.”24
Le ragazze erano talmente povere e vestite di cenci che si vergognavano di presentarsi alle famiglie con le scarpe estremamente consumate, quei vestiti consunti e rattoppati. Facevano talmente pena che molte famiglie un po’ per compatimento, un po’ per il prestigio che godevano, acquistavano per la poverina, un vestito, il grembiule e le scarpe che poi defalcavano dalla paga del mese. Non potevano certo far circolare casa e fuori una serva vestita di stracci! Cosa avrebbe detto o pensato di loro, la gente! Avevano un prestigio e un onore da difendere, certo non pensavano a come si potesse sentire la poverina che d’altronde era forse abituata ad essere una stracciona.
“La mia paura era quella di presentarmi in casa di ricchi vestita con quell’unico vestito, rassettato da mia zia che da due ne fece uno …Avevo il vestito che mi aggiusto mia zia e non avevo il capoto, le scarpe bianche le avevo colorate con la fuliggine ma, la suola era rimasta bianca perché di gomma.”25
“Ho capito che la poverina non ha nulla da mettersi addosso, allora ho pensato di farle subito due grembiuli da portare in casa e quando esce le presterò uno dei miei capotti. Domani le comprerò le scarpe e le pantofole e alla fine sconteremmo tutto dallo stipendio di quaranta lire.”26
Il rapporto famigliare che a volte s’instaurava con le famiglie comportava che le serve vi rimanevano anche per tutta la vita: prima ad accudire i figli dei padroni e poi gli anziani ed ammalati. Spesso però le ragazze cambiavano lavoro o famiglia, vuoi perché si trovavano male, vuoi perché non era pagato lo stipendio, o vuoi per il fatto che la famiglia non era più in grado di far fronte alle spese di una domestica,27o vuoi nei peggiori dei casi a causa di violenze ed avance dei padroni.
“Con il denaro avuto dalla sarta, quando la lasciai,28avevo comprato un vestito già confezionato e lo portavo sempre, nei giorni feriali e in quelli festivi. Quando era sporco, di sera lo lavavo, di notte si asciugava e al mattino lo stiravo e lo indossavo. Ma in poco tempo si era scolorito e le scarpe cominciavano a rompersi. Erano trascorsi già due mesi e di paga non se né parlava… la signora diceva di attendere che mi avrebbe pagato…”29
In alcuni casi alcune famiglie che provenivano da una certa borghesia benestante, volendo vivere al di sopra delle loro possibilità e magari con sussidi da parte dei genitori, non potevano comunque rinunciare alla domestica. E come faceva la signora, non poteva certo sporcarsi o usare le proprie mani delicate per i lavori domestici, non poteva certo farsi vedere cosi meschina da confondersi al parco con altre inservienti magari di qualche altra famiglia conoscente. Queste famiglie non erano in grado né di pagare i propri debiti di vita mondana né la povera domestica, che spesso non era in grado di acquistrarsi neppure il necessario per coprirsi decentemente. D’altronde loro non vedevano ed erano incuranti di come uscisse vestita la pria serva e della violenza psicologica che essa era costretta a subire. Con i conoscenti si poteva sempre trovare la scusa che la poverina non si curasse di recare loro dispiacere nell’andar vestita di stracci e che era tanto egoista e risparmina da mettere tutto da parte. Ma che parte questi non versavano da mesi o per mesi la paga alla loro domestica, bambinaia. La poveretta era sottoposta a qualsiasi incombenza domestica e di bambinaia dei loro figli avuti per sbaglio e in cambio ritardi sui pagamenti tanto che non potevano permettersi neppure un vestito nuovo e delle scarpe. Le servette erano costrette quindi ad uscire per accompagnare i figli dei padroni, ai giardini, vestite di stracci e con le scarpe rotte.30
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, le congiunture che portarono all’inclinarsi della curva dell’offerta di manodopera interessata ad andare a servizio, furono sostanzialmente due. La prima, fu la possibilità di poter scegliere lavori diversi da quelli del servizio presso le famiglie, dovuta ad una crescita della domanda di manodopera operaia in sostituzione a quella maschile usata sul fronte. La seconda, fu la possibilità di poter scegliere tra diversi tipi di professioni che mettevano la donna di fronte ad un rifiuto di disponibilità ad ulteriori umiliazioni perpetuate dalle signore borghesi che si lamentavano sempre delle loro prestazioni e della loro moralità, e le sfruttavano in forma pressoché schiavistica.
Le ragazze una volta assunte a servizio erano considerate proprietà della famiglia datrice. Emblematico è l’esperienza di Pia - una ragazzina di dodici anni che aveva già avuto la sua esperienza come bambinaia in paese durante le pause estive della scuola e nell’ultimo periodo scolastico, prima dei dieci anni - che si trovò ad andare a servizio presso la proprietaria di un albergo.
La paga era stata concordata con la madre che non pensava alle fatiche della figlia ancora adolescente o bambina, ma solo a sfamare la famiglia.31E ancora una volta le femmine e non i maschi, dovevano sgobbare per permettere ai fratelli e alla famiglia di sopravvivere e tal volta di studiare. Pia si trovò a svolgere un lavoro non adatto ad una bambina e per il quale non era stata assunta. Era usanza però che i padroni una volta che pagavano, pretendessero dalle domestiche un servizio a trecentosessanta gradi.
“Il lavoro inizia alle cinque, quando sia i clienti, sia i proprietari dormivano. Per prima cosa doveva pulire la sala ed il bar mettendo tutte le sedie sopra i tavoli per poi scopare e tirare la cera, trascinando avanti e in dietro un pesante arnese con sotto uno straccio. Il pavimento doveva brillare. Terminato questo compito erano ormai le otto. A quell’ora scendeva la padrona che cominciava a scrutare gli angoli della sala, che non sembravano mai abbastanza puliti. Pia poi faceva colazione con una grossa tazza di caffè e latte e nel frattempo scendevano i bambini ai quali veniva servita la colazione. Uscivano dalle loro camere anche i clienti e lei, armata di scope, stracci e spazzolone, seguiva la figlia della padrona, saliva ai piani superiori a pulire una decina di camere. Rifare i letti, cambiare le lenzuola, svuotare l’acqua dai catini, pulire e riportare la brocca piena, svuotare i vasi da notte e pulirli, scopare, rimettere i tappeti e poi pulire i corridoi, bagni e scale tutto fino alle undici. Dalle undici alle dodici, portava i figli della padrona a spasso, lavoro per cui era stata assunta.
Arrivava l’ora di pranzo e il suo posto fisso era in disparte, all’angolo della grande stufa che usavano per cucinare, mentre la famiglia si sedeva alla tavola. Finito il pranzo, Pia doveva lavare le stoviglie. Nel lavello l’attendeva una bella sfilza di piatti, posate, padelle e mestoli. Dopo aver fatto scaldare l’acqua a parte la rovesciava in una vaschetta, dove vi doveva lavare prima i piatti, poi le posate e per ultime le padelle che andavano lavate senza detersivi, sull’acqua unta, perché poi questa veniva data al maiale. Poi le stoviglie venivano risciacquate sotto l’acqua corrente. Poi ultimati i lavori di cucina doveva portare i bambini a passeggio. Dopo il passeggio con i bambini si metteva in cucina ad aiutare la cuoca, dopo cena doveva accompagnare i bambini a letto e attendere che si addormentassero, dopo di ché scendere in cucina, per lavare le stoviglie della sera. Ma la serata, non finiva, doveva attendere l’ultimo treno dietro il bancone del bar, nel caso che entrasse qualcuno per la consumazione o per l’alloggio. In questo caso doveva salire ai piani e mostrare la camera a loro assegnata. A quel punto poteva salire in solaio, nel suo minuscolo abbaino a dormire. Poi saltuariamente bisognava aiutare la padrona preparare il pane, pulire la verdura, andare a prendere questo o quello, andare in paese in bicicletta a fare spese, andar di sopra, andar di sotto, a comando dei componenti della famiglia.”32
Il rapporto serva–padrone di tipo feudale, secondo un metodo per cui la domestica trascorreva quasi tutta la sua vita a servizio presso la stessa famiglia, allevando i figli dei padroni e curandone gli anziani e gli ammalati, andò in crisi con la fine dell’Ottocento, ma rimase la stessa sorta di schiavitù. Non era venuto meno, infatti, il modello patriarcale e di sfruttamento indiscriminato perpetuato dalla famiglia nobile o borghese, la concessione incondizionata del tempo dei domestici al datore di lavoro, la presenza d’elementi morali di fedeltà e fiducia sui padroni, l’idea che la servitù fosse incapace di concepire le cose.
Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, si conobbero diffuse lamentele delle signore borghesi per la difficoltà di trovare serve, per il rapporto qualità–prezzo. Le Colombine erano accusate di scarsa pulizia, di dubbia moralità, di contegno indocile e d’incompetenza. D’altronde come poteva essere diverso se ad essere assunte - proprio per una questione di prezzo – erano le fanciulle senza esperienza e minorenni, povere e che con il misero stipendio che percepivano non potevano neppure permettersi degli indumenti decenti.
L’incremento delle lavoratrici fisse - esterneche si ebbe dagli anni Cinquanta del Novecento ed impensabile prima, è stato un dato positivo per l’emancipazione femminile. In quanto queste essendo pendolari, avevano possibilità di incontrare altre simili e poter scambiare opinioni oltre che costruire delle corporazioni. Coloro che invece lavoravano all’interno delle famiglie erano sottoposte ad un maggiore sfruttamento non essendovi in realtà uno stacco tra i lavori domestici e il tempo libero. Esse si alzavano sempre prima dei padroni, nel loro tempo libero badavano ai figli degli stessi e non avevano sosta tranne, qualche ora della domenica durante la santa messa e nei pomeriggi. E’ verro anche che quelle che lavoravano giornalmente, dovevano comunque badare alle incombenze domestiche, aiutando gli altri famigliari o nei campi o in casa, ma questo non era considerato lavoro.
Le lavoratrici domestiche negli anni ottanta del Novecento, erano classificate a seconda del loro arco temporale nel quale era prestato il servizio e sul luogo ove la lavoratrice dormiva o risiedeva. E’ così definita fissa e residente la lavoratrice che dorme dove presta servizio; fissa ed esternaquella che rientra a dormire a casa propria e infine giornaliera quell’operante in base alle mansioni ad ore. Sostanzialmente si dividono tra lavoratrici interne ed esterne. Sono considerate esterne tutte quelle che non dormono presso i loro datori di lavoro che siano esse fisse sei giorni alla settimana o ad ore e temporanee.
Una balia per mio figlio
Prestare servizio come balia fino ai primi decenni del Novecento, era un’occupazione diffusa tra le povere donne che avevano perso i figli durante o a qualche mese dalla loro nascita. L’avvio a balia avveniva attraverso una rete di sensali costituiti da elevatrici, medici e mammane locali che pensava a piazzare le balie presso le famiglie ambienti e borghesi. Le nutrici erano riunite in camere dove il futuro padrone avrebbe passato in rassegna le loro mammelle per constatare se erano ottima merce atta a sfamare il futuro poppante. Un’umiliazione ed una violenza a cui le donne in schiera, scoprivano le loro poppe che erano palpate e premute, facendo cadere la goccia di latte necessaria ad accertare la bontà del prodotto. Goduria per il sesso maschile che vedeva tanta “bontà” davanti ai suoi occhi forse, eccitati ma falsamente imbarazzati. Una volta che la donna aveva superato l’esame, soddisfatto le esigenze del medico e dei futuri padroni, non doveva far altro che attendere la loro chiamata. La donna era considerata una proprietà, una bestia, una merce da sfruttare.
…Quando una famiglia di contadini, avendo la donna adatta, ed essendone ella contenta, intende di collocarla balia, il capo della famiglia od il marito della donna va a raccomandarsi ad uno o più medici, ed alla così detta metti nene perché ne tengano memoria a favore della loro donna; e spesse volte insieme col marito va a presentarsi anche la moglie perché i prorompenti possano descrivere la mercanzia …33
Si dava preferenza infatti alle donne di statura ben sviluppata e a quelle dai capelli scuri, in quanto ritenute di fibra più forte. Nella scelta della balia era ricercata l’assoluta sanità.
Le donne che s’iscrivevano presso il medico e la “metti nene”,34dovevano avere già partorito o essere in procinto di partorire. Nel caso che il figlio della futura balia sopravvivesse o la gravidanza perdurasse, il capofamiglia combinava preventivamente dove o come provvedere all’allattamento del nascituro e di quello abbandonato dalla madre per andare a balia. La differenza tra l’importo della spesa del di lei figlio e quella del suo lavoro andava a vantaggio della famiglia.. Le donne povere e contadine - salva qualche rarissima eccezione - abbandonano senza soverchio e dolore, il loro figlio alle altrui cure.
Al momento della raccomandazione a balia, l’associazione doveva versare 5 lire al marito ed altre 10 lire, erano erogati al momento della comunicazione a collocamento.35Chi prendeva in casa le nutrici doveva provvedere al viaggio, all’abbigliamento e ad un adeguato vitto ed alloggio. Tenere un figlio a balia costava alle famiglie 30 lire mensili, oltre eventuali regali più o meno generosi, a seconda dei meriti della nutrice e dello stato economico della famiglia datrice; si aggiungevano poi ulteriori donni alla sua partenza per lei ed il marito.
Le balie lasciavano per mesi i figli e il marito, fino al compimento del loro compito. Abbandonando il neonato da svezzare a qualche parente, per andare a dar latte al poppante borghese, la cui madre trovava poco dignitoso e riluttante porgere il proprio seno al figlio o alla neonata.
Una volta individuata la famiglia di destinazione, la balia doveva essere pronta a partire non appena fosse richiesta, ed il periodo di lavoro durava dai dodici ai quattordici mesi, tranne nei casi in cui il bambino affidatole morisse o lei avesse la disgrazia di perdere il latte. A volte capitava che una volta finito il compito di balia, essa rimanesse come serva presso la famiglia. Spesso però le nutrici tornavano a casa per rimanere di nuovo gravide e passare quindi ad una nuova stagione di allattamento.
La donna utilizzata come merce, come investimento per la famiglia e le sue mammelle diventano preziosi strumenti per poter sfamare la stessa.36Mentre alle donne borghesi dopo il 1936, fu concessa la scelta se allattare o dare il figlio in allattamento, alle balie non fu acconsentito neppure un po’ di pudore per il proprio corpo. Esse allattavano davanti ai padroni, dovevano sottoporsi a visite dei datori maschi, i quali solo loro, avevano la facoltà di decidere se le poppe delle poverette, andavano bene per quella missione tanto delicata. Bisogna ammettere che se da un lato erano considerate merci, dall’altro abbandonavano la famiglia ed i figli, nel periodo di balia per diversi motivi. Innanzi tutto la necessità di assistere ai bisogni della famiglia e di integrare il misero bilancio famigliare, e in secondo ordine lo scappare dalla miseria della campagna e a seguito le lusinghe sui regali che le erano dati e che spettano esclusivamente a lei, il risparmio delle fatiche rurali per almeno un anno e i ventilati divertimenti, e comodità, ma soprattutto l’elusione alla sorveglianza del lignaggio maritale. Da un lato si trovavano costrette e dall’altro accettavano volontariamente tale vita.
La serva serve ancora37
“E’ inutile osservare come la trasformazione della vita casalinga, apporti una rivoluzione del servizio domestico: esso non sarà più (…) domestico”38
Nel Duemila, il lavoro della casalinga, della domestica, della bambinaia, dell’assistente famigliare non sono scomparsi. Hanno subito dei cambiamenti dovuti all’evento della meccanizzazione e dell’elettronica, come del resto è avvenuto per gran parte delle professioni.
Il carico di lavoro non è diminuito, è cambiato. Le macchine hanno rivoluzionato le loro operazioni cambiando i ritmi e sostituendo alcune gestualità. Non si lava più a mano, il riscaldamento è termoelettrico, i pannolini sono usa e getta, esistono le scope elettriche e via dicendo. Gli stessi materiali con cui sono costruite le nostre abitazioni sono diversi: pavimenti in legno sono trattati in modo da non richiedere più “l’olio di gomito” per la lucidatura, le piastrelle di ceramica o cotto non assorbono più le macchie e perciò sono sempre belle e specchianti. Tutto sembra aver facilitato il lavoro della casalinga, della domestica, della bambinaia e dell’assistente famigliare. Ma è veramente così?
I carichi domestici rimangono. Le scope elettriche devono essere comunque spinte, la lavatrice va comunque preparata e la biancheria deve essere divisa per tipo e colore. Ogni genere va lavato con un programma e ad una temperatura adeguata. E poi la biancheria non si stira mica da sola, la massaia o la domestica la deve stirare e deve saperla anche confezionare. I letti non si fanno da s’è, devono essere sistemati e riassestati “come Dio comanda”. I pavimenti non si scopano o si lavano da sé, ma la massaia o la domestica li deve scopare e pulire. E non è semplice lavare un pavimento. Ogni tipo di pavimentazione ha, infatti, il suo giusto detersivo o gradazione di detersivo, altrimenti si rovina o rimane rigato. E i tappeti, ah! Quelli poi! O si portato in tintoria e costa, oppure si devono pulire con “olio di gomito”, strofinare con uno straccio ed ammoniaca a mano. E poi i vetri! Anche per quelli non ci sono macchinari validi per la loro pulizia se non le brave braccia della massaia o della domestica. Vaporelle o lavavetri meccaniche, non danno lo stesso risultato: igienizzano, ma non poliscono come deve essere fatto. Poi i bambini devono essere cambiati, lavati, nutriti e seguiti, fino alla fase adolescenziale. Se a tutto questo si aggiunge poi, i doveri di una buona economia domestica per poter arrivare a fine mese con poco più di 1.000,00 Euro mensili, uno stress in continuo aumento.39
All’inizio del Duemila, le domestiche non sono più fanciulle o bambine, ma sono donne provenienti da altri paesi comunitari o extracomunitari. Esse sono le nuove serve a pagamento e spesso non hanno un contratto, entrano con ingaggi della Caritas e di altri enti religiosi o assunte direttamente nei luoghi di provenienza da agenzie italiane o dei paesi d’origine. Queste colombine stanno a servizio per qualche anno per riscattarsi e poi forse sono libere.40Sono irregolari e senza casa, prendono 1.000,00 Euro al mese più vitto ed alloggio, per essere presenti sempre nella casa come bambinaie, domestiche o badanti e hanno qualche ora di riposo nel fine settimana. Di Quei 1.000,00 euro, una percentuale la devono versare agli intermediari, anche quelli vanno pagati. Le domestiche servono le nuove classi borghesi, le finte casalinghe piene di pregiudizi, di vizzi e presuntuose.41Si sostituiscono alle mamme borghesi, le quali preferiscono la loro vita ai figli che hanno messo a mondo per capriccio o perché così deve essere.42
Per la domestica fissa o ad ore per qualche agenzia, i ritmi sono intensi due o tre ore per pulire tre piani di uffici, correre con l’aspirapolvere, con lo spazzolone e i secchi per pulire i pavimenti, le finestre ed altro. Tre ore per pulire un’abitazione a fondo di 150 mq., veloci tirare su le sedie, i tappeti, passare con l’aspirapolvere l’appartamento, passare il pavimento, pulire i tappeti, la cucina, i vetri e dopo la casa sa da profumo e la donna delle pulizie è distrutta e corre a casa dal marito e dai figli per pulire la sua casa e passare nel pomeriggio da un’altra parte. Il suo lavoro ha un ordine sequenzale e un ritmo dettato dal tempo a loro disposizione per produrre il pulito.
“La prima tappa, ogni giorno, è un ufficio che apre i battenti alle nove. Ciò significa che ogni mattina tu esci di casa che sono da poco passate le sei, aspetti l’autobus alla fermata e fai quarantacinque minuti di autobus per arrivare in periferia. Alle sette entri nell’ufficio che devi pulire, e hai due ore di tempo per rimetterlo in ordine. Le scrivanie le trovi come le hanno lasciate la sera prima, coi bicchieri sul tavolo, i posacenere gonfi di mozziconi e le sedie girate verso l’uscita. Su alcune scrivanie è impossibile mettere ordine, viste le montagne di fogli…Da quando lavori nell’impresa di pulizie la seconda tappa della tua giornata lavorativa è alle quattro del pomeriggio in un paese a qualche chilometro dalla città. Tra la prima e la seconda metà riesci a passare da casa, rassettare le stanze da letto e lavare rapidamente i piatti della cena e le tazze della colazione che tuo marito e tuo figlio hanno lasciato sul tavolo. Quindi raggiungi la fermata del pullman, aspetti che arrivi e poi ti fai più di un’ora di viaggio…Il copione riprende esattamente uguale al mattino, solo che al pomeriggio sono tutti seduti alla propria scrivania…Poi devi aspettare che chi è in bagno esca per poter entrare a pulirlo, salvo lasciarlo a metà nel caso qualcuno abbia urgenza di andarci. Dalle cinque e mezza in poi, a gruppi di due o tre persone se ne vanno, e non appena lasciano la scrivania incustodita, tu ti ci catapulti sopra… Alle sei, finite le tue due ore, torni alla fermata del pullman e rientri in città. A quell’ora, d’inverno è già buio…Non di rado appoggi la fronte al finestrino e cullata dal rollio della corriera finisci per addormentati come fosse notte. D’altra parte è dalle sei del mattino che vaghi per la città, tra autobus, guanti di plastica colorati, detersivi e macchie sul pavimento. Arriverai a casa che saranno quasi le otto, e prima devi ancora passare a prendere tuo figlio a casa dei suoceri. Sono quattordici ore che sei in giro per lavoro…Ma c’è una differenza. Le tue ore di lavoro sono soltanto quattro…Quattro sono e quattro ti saranno pagate”.43
Ma hai bisogno di soldi e di lavoro.
Quali diritti per le serve?
Le domestiche furono escluse da una larghissima parte delle leggi relative alla regolamentazione del lavoro o alla tutela dei lavoratori introdotte in Italia. Il loro lavoro non venne, infatti, né compreso nella regolamentazione dei diritti del lavoro dei fanciulli, né su quello della tutela alla maternità, né sulla regolamentazione del loro orario, né sui contratti collettivi, né sulla tutela in caso di disoccupazione involontaria, e neppure all’assoggettamento delle competenze in caso di controversie alle sezioni del lavoro istituite presso le preture ed i tribunali.44Gli unici provvedimenti di cui domestiche e domestici beneficiarono nei primi anni quaranta del Novecento, furono quelli del 1923 sull’assicurazione obbligatoria contro l’invalidità e la vecchiaia, estesi nel 1927, alla tubercolosi.45
D’altronde la Legge che proibisce di licenziare un’operaia gravida risale al 1929 e ma si parla di operaia e non di domestica. A tutt’oggi il divieto di licenziamento durante il periodo di gestazione e fino al compimento di un anno di età del bambino, non vale nel caso delle domestiche. D’altronde come per l’orario notturno, la Corte Costituzionale Europea contrasta con le normative italiane che estendono tale diritto a tutte le donne. Nel caso della maternità, la Corte Costituzionale Europea ha più volte confermato la legittimità della normativa europea, nonostante l’Italia abbia sottoscritto accordi internazionali relativi all’estensione a tutte le lavoratrici del divieto di licenziamento in caso di maternità. Solo l’art. 25 della contrattazione collettiva ha ovviato, parzialmente, ai limiti legislativi nella tutela delle lavoratrici madri che non possono essere licenziate senza giusta causa.46Inoltre la risoluzione del rapporto dei lavoratori domestici è disciplinata a tutt’oggi solo dagli articoli 2118 e 2119 del codice civile, e ciò significa che il datore di lavoro può licenziare senza far ricorso alla forma scritta e, nel caso di licenziamento per giusta causa, anche senza preavviso, anche in questo caso solo l’art. 36 della contrattazione collettiva nazionale tutela la lavoratrice.
La contrattazione collettiva ha stabilito già nel Contratto Collettivo Nazionale del 2001-2004, che le domestiche conviventi con i datori di lavoro, non possano lavorare più di dieci ore al giorno, quelle non conviventi otto, per un totale settimanale di cinquantacinque per le prime, di quarantotto per le seconde. Purtroppo la legislazione in vigore si limita a regolare il riposo minimo e non l’orario di lavoro massimo. Esse hanno diritto per legge ad un riposo fissato in otto ore consecutive di notte e ad un conveniente riposo - fissato per contratto collettivo nazionale - ad una durata non inferiore a due ore pomeridiane non retribuite.47Il diritto di ferie e al riposo settimanale fui finalmente introdotto con l’art. 2243 del Codice Civile e l’assicurazione malattia dalla L. n. 35 del 18/01/1952; la tredicesima dalla L. n. 940 del 27/12/1953. Il contratto collettivo nazionale fissa un riposo settimanale di dodici ore più l’intera giornata della domenica e le ferie potranno essere frazionate in non più di due periodi all’anno in accordo fra le parti e comunque ha diritto a 26 giorni lavorativi di ferie annuali.
1 Canzoni popolari di Giovanni Spano raccolte dalla Centrale Ossia Logundorese Giovanni Spano, Ilisso.
2 Malgrado gli ammortizzatori tecnologici piuttosto che sociali il lavoro domestico non è infatti diminuito per le massaie, ma anzi cresce il carico delle mansioni socio-riprodutive. La donna non solo deve occuparsi delle faccende domestiche, ma anche di quelle del sostenimento familiare e il carico riguardante la crescita cultural-sociale della prole è nelle sue mani.
3 Dizionario della lingua italiana, Palazzi – Folena.
4 Frase tipica dialettale veneta che significa, Mario ora e insieme con una donna o si è sposato, ma puo’ anche significare che ha qualcuno a servizio..
5 RAFFAELLA SARTI, Quali diritti per la donna? Servizio domestico e identità di genere dalla Rivoluzione francese a oggi. Scritto dall’autrice, nel 1998 e da allora aggiornato, il presente saggio nasce da una ricerca pluriennale. In esso sono tra l’altro confluite, se pur in versione ampiamente rimaneggiata, parti dell’intervento presentato nel 1995 al Primo Congresso della Società delle Storiche e di alcuni scritti inediti della Sarti.
6 Le cosiddette finte casalinghe borghesi, quelle che lo sono di nome, ma non di fatto essendo che a parte mansioni di folklore esse si servono di addette ai servizi domestici per le faccende di casa.
7 Con questa proposta degli anni novanta del secolo scorso, a mio avviso si disconosce il valore del lavoro casalingo, in quanto è vero lavoro solo se remunerato.
8 Cosa si intende per un non vero lavoro, un’occupazione che ha un valore in quanto remunerata. Ad avvalorare questa tesi è il censimento del 1991, nel quale le casalinghe furono classificate tra la popolazione non attiva, in quanto non produttrici di reddito. Definite come “coloro che si dedicano prevalentemente alla cura della propria famiglia.
9 Un detto popolare afferma che una donna che è a casa e non sa’ “tenere la casa” è una “buona da niente”.
10 Questo modo di predisporre il letto è tipico di alcune zone in altre lo si sistema in modo diverso che comunque richiede un savoir faire.
11 Separano la biancheria per categoria: la lana dal cotone, il bucato delicato da quello “grosso”, i capi colorati da quelli bianchi.
12 Fino al 1936-1937, far allattare da parte delle donne borghesi, i propri figli alle donne “popolane” era una prassi. In Italia, diede scandalo la decisione di Maria José di Savoia, di allattare da sé i propri figli. Il fatto interruppe anche la moda contingente
13 Lo stipendio di una domestica nel 1950 raggiunse 165 lire mensili lorde.
14 Così come sancito con la Legge 860/1950.
15 Il principio che il servizio fosse una dote naturale femminile fu tale che in Inghilterra, i penitenziari femminili della Riscue Society, nei quali venivano stipate le prostitute, il lavoro di “redenzione” consisteva nell’arte paziente di trasformare una prostituta in domestica. Questo modo di vedere la naturalità femminile, non era naturalmente solo inglese, ma un concetto globale, tanto che lo stesso Alessandro Rossi, istituì nelle scuole la materia di economia domestica, così come di moda al tempo. Materia presente a scuola fino agli anni Settanta del Novecento ed in alcuni paesi e scuole religiose, ancora insegnata.
16 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 113.
17 Atti del consiglio superiore di statistica, seduta del 26 maggio 1884, relazione finale sul censimento generale della popolazione del 1881, Classificazione della popolazione per età, per istruzione e per professioni, “Annali di statistica”, serie 3°, vol. 14, 1885, pp. 87 –148.
18 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 118.
19 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 130.
20 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 136.
21 Fino ad oltre la metà del Novecento, le domestiche avrebbero dovuto tenere, anche fuori dal rapporto di lavoro, una condotta tale da non ledere l’immagine e il prestigio dell’azienda familiare. Nel 1933 e oltre la metà del Novecento, nei centri campagnoli, la gravidanza illegittima di una serva era annoverata tra le giuste cause di risoluzione del contratto in quanto poteva nuocere “alla stima, onorabilità e decoro del padrone e della di lui famiglia”, se fosse stata operaia per legge non si poteva dedurre la causa del licenziamento.
22 Corrispondente con il sei di gennaio giorno dell’epifania.
23 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 131.
24 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 132.
25 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 131.
26 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, p. 132.
27 Dal 1943 al 1945, parecchie famiglie della piccola borghesia, a causa che i mariti erano partiti come ufficiali per l’Eritrea o la Libia e della crisi economica, non erano più in grado di poter pagare la domestica e mantenere lo stesso tenore di vita. Quindi le maestre, le signore, preferivano rinunciare alla serva e mantenere il loro tenore, fin tanto che era possibile.
28 Margherita lascia il servizio presso la sarta, in cui si trovava bene, dopo la violenza subita dal marito di lei, perché si sentiva minacciata e soprattutto non sapeva come continuare a mantenere il segreto con quella donna che le era diventata in parte amica.
29 Testimonianza di Margherita Ianelli in MARGHERITA IANELLI, Gli zappaterra, una vita, Baldini&castoldi, 1997, pp. 139-140.
30 Alla fine la signora Margherita verrà pagata anche se non interamente e se n’andrà da quella famiglia.
31 Solo, qualora nelle famiglie venisse mancare l’uomo, il capo famiglia, le donne né diventavano le reggitrici ed amministravano la loro casa. La contrattazione dello stipendio con il capo famiglia fu abolito dal 17 luglio del 1919, data in cui viene approvata la L. n. 1176 e che abolisce l’autorizzazione maritale ed ammette le donne alle professione e agli impieghi pubblici anche se con restrizioni ed importanti eccezioni.
32 LUISA MORASCHINELLI, Le estati di Pia, iniziazione alla vita negli anni ’40, Bonazzi grafica, Sondrio 1998. Un’autobiografia della vita dell’autrice.
33 Donne e conoscenza storica. Le donne che vanno a lavorare in città in Questione femminile dall’Unità d’Italia a Giolitti. http://www.url.it/donnestoria/testi/accardidonne/acdonnecitta.htm, p. 2
34 Così era chiamato l’ufficio di reclutamento delle balie.
35 ANNA MARIA BAZZOLE, Della emigrazione dei contadini bellunesi, in Balie da latte, una forma peculiare di emigrazione temporanea, (a cura di D. PERCO), Feltre, Comunità montana feltrino, 1984.
36 Rimanere gravide era un modo per assicurare un reddito alla “tribù”, figliare neo nativi o morti era una necessità, non un desiderio. Solo così si potevano assicurare il mercato dei loro attrezzi, le mammelle.
37 Vedi CRISTINA MORINI, La serva serve, le nuove forzate del lavoro domestico, Derive Approdi, Roma 2001, BARBARA EHREICH, Una paga da fame, come (non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo, Gian Giacomo –Feltrinelli editore, Milano 2002, ARMANDA GUIDUCCI, Donna e serva, storia non sentimentale della degradazione femminile, Rizzoli Editore, Milano 1983.
38 RICARDO BACHI, La serva nella evoluzione sociale, Torino, edizione G. Sacerdote, 1900. P. 40. Questa tesi era sostenuta da Riccardo Bachi in una conferenza dedicata a La serva nella evoluzione sociale tentassi a Torino il 17 aprile del 1900.
39 Il lavoro domestico nel XXI secolo, ha ricoinvolto gli uomini e si stima che tra lavoratrici e lavoratori domestici censiti, siano più del doppio di quelli presenti nel censimento del 1901, ai tempi in cui Bachi pronunciava la scomparsa del lavoro domestico. Nel 1901, gli addetti ai servizi domestici, in base al censimento erano 482.080, pari al 14,8 0/00 della popolazione presente (32.475.253). Nel censimento del 2001 si è calcolato che fossero 1.049.500, cioè il 18,4 0/00della popolazione residente (56.995.744). Sito Web: censimenti.istat.it/templates/p_void.asp?page=989.
40 Con delibera della Giunta Regionale del Friuli n. 2020 del 31 agosto 2006, si propone di realizzare corsi di formazione e apprendimento della lingua italiana, nei paesi di origine degli emigranti e l’attivazione di percorsi formativi volti al conseguimento di competenze per l’assistenza alla persona (soprattutto per moldavi), allo scopo di avere del personale qualificato da inserire nelle famiglie.
41 RICARDO BACHI, La serva nella evoluzione sociale, Torino, edizione G. Sacerdote, 1900. P. 40. Tesi sostenuta da Riccardo Bachi in una conferenza dedicata a La serva nella evoluzione sociale tentassi a Torino il 17 aprile del 1900.
42 CRISTINA MORINI, La serva serve, le nuove forzate del lavoro domestico, Derive Approdi, Roma 2001
43 ANDREA BAJANI Mi spezzo ma non m’impiego. Guida di viaggio per lavoratori flessibili, Giulio Einaudi editore, Torino 2006, pp. 126 – 127. Ho preso stralci di questo brano del Bajani, perché mi sembrava forte e significativo nel spiegare la durezza del lavoro e quanto esso sia ancora richiesto.
44 RAFFAELLA SARTI, Quali diritti per la donna? Servizio domestico e identità di genere dalla Rivoluzione francese a oggi.
45 Art. 1, comma n. 2 del d. 30/12/1923, n. 3184 indica tra le persone soggette ad assicurazione i domestici e coloro che prestano “stabilmente l’opera nei servizi familiari”.
46 Sentenze della Corte Costituzionale: del 13/02/1974, n. 27 e 15/01/1976, n. 9, 15/03/1994, n. 86 e n. 193 del 1995 e Contratto Collettivo Nazionale sulla disciplina del lavoro domestico.
47 Articolo. 8, l. 339/1958 e Contratto Collettivo Nazionale sulla disciplina del lavoro domestico 2001-2004.